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Comunione legale dei beni – criteri per la divisione

Con l’espressione comunione dei beni (art. 156 c.c.) si intende il regime patrimoniale “legale” della famiglia, vale a dire il regime patrimoniale che si applica automaticamente in mancanza di diverse pattuizioni da parte dei coniugi, quale regime primario di regolazione dei loro rapporti, perché rispondente ai principi di solidarietà e uguaglianza che caratterizzano il matrimonio.

a. COSA RIENTRA NELLA COMUNIONE LEGALE

Costituiscono oggetto della comunione legale (art. 177 c.c.):

  • gli acquisti compiuti di coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio;
  • i frutti dei beni personali di ciascun coniuge (ad es. l’affitto percepito da un immobile intestato ad un coniuge, comprato prima del matrimonio), percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione (in merito al momento in cui la comunione si scioglie v. infra);
  • i proventi dell’attività lavorativa di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati; (per i proventi consumati per finalità diverse dall’ “interesse comune della famiglia” v. quanto infra specificamente spiegato);
  • le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio.

Per gli acquisti fatti durante il matrimonio vale la regola della comunione immediata (ad. es. se un coniuge acquista un immobile durante il matrimonio, lo stesso diventa bene della comunione fin dal momento dell’acquisto, ovverosia dalla firma dell’atto di vendita).

Per i frutti dei beni personali e per i proventi dell’attività lavorativa di ciascuno dei coniugi (per ciò che interessa la Sua situazione), si applica la cd. comunione differita o de residuo: pertanto, detti beni rimangono nella titolarità esclusiva di un coniuge ma allo scioglimento della comunione, ciò che residua, e quindi ciò che non sia stato consumato, cade automaticamente in comunione e deve essere diviso a metà.

L’istituto della comunione de residuo è stato inserito nella normativa sulla comunione legale allo scopo di prevedere un’ampia ed importante deroga alla regola generale della comunione immediata, a tutela dell’iniziativa economica individuale e dell’autonomia imprenditoriale di ciascun coniuge. La finalità perseguita dal legislatore è stata quella di contemperare le ragioni della comunione legale, legate alla condivisione tra i coniugi delle ricchezze conseguite durante il matrimonio, con l’esigenza di preservare una sfera di autonomia e indipendenza per i coniugi che consenta loro di disporre in modo “indisturbato” di talune risorse, almeno fino allo scioglimento del regime comunitario.

Detta soluzione ha generato sin dalla sua introduzione questioni di rilievo in ordine alla corretta interpretazione ed applicazione delle norme che la disciplinano.

In particolare, ci si è chiesti se, con riferimento ai proventi dell’attività lavorativa, il potere di disposizione del coniuge sia “senza limiti”, oppure se vi possano essere talune restrizioni.

Prevalente Giurisprudenza ritiene che detti proventi, pur appartenendo ad una comunione residuale, siano anch’essi assoggettati ad un vincolo che ne impone pur sempre l’utilizzo nell’interesse della comunione. Tra le tante, in part. v. Cass. civ., 10 ottobre 1996, n. 8865, dove testualmente si legge: “sono oggetto della cd. comunione de residuo, al momento b.ello scioglimento della comunione legale, tutti i redditi percetti e percipiendi rispetto ai quali il titolare dei redditi stessi non riesca a dare la prova che sono stati consumati o per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia o per investimenti già caduti in comunione”; in senso conforme, v. anche Cass. Civ., 17 novembre 2000, n. 14897.

Altra parte della Giurisprudenza ritiene invece che tale ricostruzione non sia condivisibile, non solo perché non vi sono riferimenti normativi dai quali desumere che i proventi siano gravati da un simile vincolo di destinazione, ma anche perché, attraverso questa stringente interpretazione, si rischierebbe di stravolgere il sistema, imponendo un costante dovere di rendiconto tra i coniugi e, soprattutto, azzerando integralmente la finalità della comunione de residuo, che tende a tutelare l’iniziativa economica individuale.

b. I PROVENTI:

Tra i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi rientrano gli stipendi e salari da lavoro dipendente, i redditi da lavoro autonomo di artigiani, imprenditori, professionisti etc. Può dunque definirsi provento qualsiasi utilità o entrata che derivi dall’attività di lavoro svolta dal coniuge, in qualunque forma, subordinata o autonoma, professionale od occasionale, compresi i diritti ed i redditi correlati all’esercizio del diritto patrimoniale d’autore, o di altre opere dell’ingegno.

Il concetto di provento, ex art. 177, lett. c) non sembra riferibile ad un credito non ancora esigibile; solo i proventi già esigibili vengano quindi in considerazione.

Quanto al trattamento di fine rapporto, non vi è dubbio che, attesa la sua natura di retribuzione differita, rientrino nella comunione solo le somme effettivamente percepite durante la comunione stessa. In altri termini, il TFR non rientra nella comunione se non nel momento della sua effettiva percezione da parte del coniuge lavoratore. Quindi, nulla è dovuto all’altro coniuge in caso di corresponsione del TFR in epoca precedente all’instaurazione della comunione legale, ovvero, successivamente alla cessazione del regime legale.

Anche il trattamento di fine rapporto è oggetto della c.d. comunione de residuo, entrando a far parte della comunione solamente al momento dello scioglimento, ove riscosso e non ancora consumato; solo ciò che non sia stato speso confluisce nel patrimonio della comunione legale e pertanto spetta per metà all’altro coniuge.

Quanto al denaro, per effetto della regola della comunione differita, il denaro depositato presso conti correnti bancari nei quali siano confluiti i guadagni dell’attività svolta da un coniuge entra a far parte della comunione legale dei beni solo al momento dello scioglimento della stessa; solo da tale momento pertanto consegue una titolarità comune dei coniugi sul saldo attivo del conto.

c. BENI ESCUSI DALLA COMUNIONE

Ai sensi dell’art. 179 c.c. non entrano mai a far parte della comunione, invece:

  • i beni e i diritti reali di godimento di cui il coniuge era titolare prima del matrimonio;
  • i beni pervenuti al coniuge in successione o donazione a meno che nella donazione o successione non sia specificato che essi sono attribuiti alla comunione.
  • i beni di uso strettamente personale e loro accessori;
  • i beni che servono per l’esercizio della professione;
  • i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno e pensione derivante dalla perdita della capacità lavorativa.

d. CAUSE DI SCIOGLIMENTO

Lo scioglimento della comunione dei beni avviene nei seguenti casi:

  • quando sia stata dichiarata l’assenza o la morte presunta di uno dei coniugi
  • quando sia stato annullato il matrimonio
  • quando vi sia stata separazione legale; si precisa che un’eventuale successiva riconciliazione dei coniugi non ripristina la comunione dei beni
  • quando viene dichiarata la separazione giudiziale dei beni, in caso di interdizione o inabilitazione o di cattiva amministrazione della comunione
  • nel caso in cui i coniugi scelgano un regime diverso, con apposita convenzione
  • nel caso di fallimento di uno dei coniugi.

 

e. DIVISIONE DEL PATRIMONIO DELLA COMUNIONE DEI BENI DOPO IL SUO SCIOGLIMENTO

La cessazione del regime legale della comunione dei beni determina il passaggio dei coniugi ad una condizione di comunione ordinaria nella quale ciascuno ha il diritto di chiedere la divisione (che può essere attuata in modo concordato o giudizialmente) dei beni comuni (in comunione immediata e in comunione de residuo).

Secondo quanto previsto dall’art. 194, comma primo, cod. civ., all’atto dello scioglimento l’attivo ed il passivo devono essere ripartiti in quote uguali indipendentemente dalla misura della partecipazione di ciascuno dei coniugi (Cfr. Cass. Civ. sez. 1, sent. n. 19454 del 9.11.2014, RV. 624331 – 01; Cass. Civ. sez. 1 civ, n. 10896 del 24.05.05). Non vi è possibilità, quindi, di pretendere conguagli in relazione all’eventuale diverso impegno di spesa negli acquisti.

Come già chiarito la divisione concerne i beni comuni e non quelli esclusi dalla comunione, come i beni che appartenevano a ciascun coniuge da prima del matrimonio o che gli sono pervenuti per donazione o successione.

Prima di effettuare la divisione è necessario identificare correttamente la consistenza della massa da dividere attraverso quelle operazioni preliminari (eventuali) a cui fa riferimento nel codice l’art. 192, norma che attiene ai rapporti interni della vita di coppia.

In particolare, potrebbe essere necessario: a) reintegrare la comunione (c.d. rimborsi) ove vi fossero stati nel corso del matrimonio prelievi per finalità personali da parte di uno o entrambi i coniugi; il coniuge che abbia fatto tale genere di prelievi è tenuto al rimborso a meno che dimostri che l’acquisto/la spesa fatta sia stata vantaggiosa per la comunione o abbia soddisfatto una necessità della famiglia; b) eliminare dalla massa (c.d. restituzioni) somme personali impiegate da uno o entrambi i coniugi per spese e investimenti del patrimonio comune.

In particolare, quanto all’obbligo di restituzione, sono escluse da esso le “somme prelevate dal conto cointestato e reimpiegate nell’interesse della famiglia e della comunione legale come ad esempio per il mantenimento della famiglia, per l’istruzione e l’educazione dei figli e comunque contratte, anche separatamente, nell’interesse della famiglia” (Cfr. Cass. Civ. Sez. 2, sent. n. 20457/2016).

Di recente, la Corte di Cassazione, con sentenza della sez. 2 civile, n. 20457, dell’11.10.2016, con specifico riguardo alle movimentazioni praticate da una moglie sul conto cointestato,  quanto all’onere della prova ha affermato il principio secondo cui: “si deve ritenere che, a fronte di prelevamenti, da parte di un coniuge, di somme di pertinenza della comunione – quali sono state ritenute essere quelle giacenti sul conto corrente intestato alla coppia –, competa al coniuge che abbia effettuato le operazioni e che alleghi di aver impiegato gli importi prelevati nell’interesse della comunione o della famiglia, dimostrare quest’ultima circostanza: ciò sia in quanto quest’ultima si atteggia a fatto impeditivo dell’obbligazione restitutoria; sia in quanto la ripartizione dell’onere della prova deve tenere conto, oltre che della distinzione fra fatti costitutivi e fatti estintivi od impeditivi del diritto, anche del principio – riconducibile all’art. 24 Cost. e al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio del diritto in giudizio – della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova (Cass. S.U. 30 ottobre 2001, n. 13533; Cass. 14 gennaio 2016, n. 486; Cass. 17 aprile 2012, n. 6008; Cass. 1 luglio 2009, n. 15406; Cass. 25 luglio 2008, n. 20484)”.

f. Altro sul TFR

In caso di separazione, il TFR versato sul conto corrente cointestato si presume in proprietà al 50% di ciascuno di coniugi anche per la parte maturata prima dell’insaturazione della comunione legale dei beni (Cfr. Cass. Civ. 10942/2015).

Ne deriva che, all’atto dello scioglimento della comunione legale, va diviso tutto quello che giace sul conto corrente compreso il TFR versato, secondo la regola generale per la quale cadono in comunione i guadagni dell’attività separata di ciascuno dei coniugi, se allo scioglimento della comunione, non sono stati spesi.

DOPO IL DIVORZIO: la legge attribuisce anche al coniuge divorziato il diritto di percepire una percentuale sul tfr dell’altro coniuge solo al ricorrere di determinate condizioni: anzitutto, i coniugi devono aver divorziato; il giudice deve aver poi riconosciuto all’ex coniuge richiedente il diritto ad un assegno di divorzio; l’ex coniuge richiedente non deve essere passato a nuove nozze.

Se ricorrono le condizioni sopra precisate, l’ex coniuge ha diritto al 40% della liquidazione maturata da lavoratore, riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio, dovendosi comprendere anche la fase della separazione. (art. 12 bis della legge divorzile n. 890/1970)

Il calcolo della quota di TFR dovuta all’ex coniuge deve essere effettuato al netto degli anticipi richiesti ed ottenuti dallo stesso durante il matrimonio (compreso il periodo di separazione).

avv. Molendini

Titolare dello Studio Legale Molendini in Milano, ove opera un team di otto avvocati, ognuno con specifica esperienza e competenza in un determinato ambito del Diritto, coprendo in tal modo con efficace approccio specialistico tutte le principali aree giuridiche, civilistiche e penalistiche, a beneficio di una trattazione complessiva ed esaustiva dell’ampia ed articolata materia del Diritto di Famiglia.

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