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Dichiarazione giudiziale di paternità e rifiuto al DNA

Nel giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità, la dichiarazione scritta della madre e il rifiuto del padre di sottoporsi all’esame del Dna, come ogni altro comportamento processuale delle parti, da valutarsi globalmente, sono elementi utili ai fini della dichiarazione giudiziale di paternità.
Tale principio è stato confermato in ultimo dalla sentenza della prima sezione civile della Cassazione, n. 25675/15, pubblicata il 21 dicembre 2015.
Secondo la Corte Suprema, il Tribunale e la Corte d’Appello hanno correttamente applicato il principio secondo il quale «nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici può essere liberamente valutato dal giudice, ai sensi dell’articolo 116, secondo comma cpc, anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti, non derivando da ciò né una restrizione della libertà personale del preteso padre, che conserva piena facoltà di determinazione in merito all’assoggettamento o meno ai prelievi, né una violazione del diritto alla riservatezza, essendo rivolto l’uso dei dati nell’ambito del giudizio solo a fini di giustizia, mentre il sanitario, chiamato a compiere l’accertamento, è tenuto al segreto professionale e al rispetto dalla disciplina in materia di protezione dei dati personali».

avv. Molendini

Titolare dello Studio Legale Molendini in Milano, ove opera un team di otto avvocati, ognuno con specifica esperienza e competenza in un determinato ambito del Diritto, coprendo in tal modo con efficace approccio specialistico tutte le principali aree giuridiche, civilistiche e penalistiche, a beneficio di una trattazione complessiva ed esaustiva dell’ampia ed articolata materia del Diritto di Famiglia.

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