Il criterio della “maternal preference” e il diritto dei genitori a trasferire la propria residenza
In materia di trasferimento della residenza dei minori, l’orientamento della giurisprudenza non è mai stato univoco. Da ultimo tuttavia, la Corte di Cassazione, con la sentenza 14 settembre 2016, n. 18087, ha affermato la prevalenza del criterio cosiddetto della maternal preference.
La decisione in primo grado
La sentenza in esame ha riformato un decreto assunto l’ 8 ottobre 2014 dal Tribunale di Torino, chiamato a bilanciare il diritto di un genitore di spostare la propria residenza insieme al figlio, diritto di rilievo costituzionale, con il diritto del minore, di pari rango costituzionale, ad una sana crescita e ad uno sviluppo armonico della sua personalità, nonché a mantenere, in caso di disgregazione della famiglia, equilibrati ed adeguati contatti e rapporti con entrambi i genitori.
Nel caso sottoposto al giudizio del Tribunale di Torino, la madre aveva accettato un trasferimento lavorativo in altra sede molto lontana dalla residenza paterna. Il Tribunale aveva disposto una consulenza tecnica d’ufficio, di natura psicodiagnostica, che aveva indicato nel padre il genitore presso il quale era più opportuno collocare in via prevalente i bambini.
La donna aveva ricusato il consulente per parzialità ma il Tribunale, accogliendo le richieste del padre, aveva comunque disposto il collocamento dei bambini presso di lui.
Già la sentenza della Cassazione del 18 settembre 2014, n. 19694, aveva precisato che il diritto del genitore di trasferire la propria residenza può essere legittimamente oggetto di compressione al fine di valorizzare il preminente interesse del minore alla sua serena crescita psico-fisica.
L’appello
Contro il decreto, la madre aveva proposto reclamo in Corte d’Appello. Secondo la Corte, né la consulenza tecnica d’ufficio né la decisione di primo grado erano affette da nullità. Tuttavia, dovevano essere accolte le richieste della madre.
Anche se il padre aveva eccellenti capacità genitoriali ed aveva avuto i minori in tenera età in collocamento paritario, doveva prevalere il criterio presuntivo della maternal preference, che indica nella madre il genitore con il quale i figli devono convivere prevalentemente.
Nel cercare la soluzione che meglio garantisse il futuro benessere morale e materiale dei bambini e il loro sereno sviluppo psico-fisico, secondo la Corte non vi era motivo per distaccarsi dal criterio che preferisce la madre quale genitore presso cui i figli in età prescolare o scolare devono convivere in via prevalente. Dalla CTU non era emersa alcuna incapacità genitoriale della madre. Secondo la Corte corrispondeva all’interesse dei minori la scelta materna di trasferirsi in una sede di lavoro coincidente con la residenza della sorella e dei suoi figli, cosi da poter usufruire del suo aiuto, essere inserita nel suo contesto sociale e di affetti, e consentire che i cugini crescessero insieme. Anche il padre del resto sarebbe stato trasferito in altra sede, per cui il radicamento nel luogo dell’originaria casa paterna si sarebbe interrotto in ogni caso. Infine, i minori non avevano parenti in quella città.
La sentenza della Corte di Cassazione 18087/2016
Il padre aveva quindi proposto ricorso in Cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello, lamentando:
- che applicando il criterio presuntivo della c.d. maternal preference era stato violato l’articolo 337 ter del codice civile che tutela il diritto alla bigenitorialità;
- che le conclusioni della CTU disposta dal Tribunale on erano state considerate;
- che la scelta della madre di trasferirsi soddisfaceva soltanto le sue esigenze e non quelle dei figli.
La suprema Corte ha concluso confermando la decisione della Corte d’Appello e la validità del criterio presuntivo della maternal preference, richiamando una propria precedente sentenza, la 9633 del 2015.
In base a questa pronuncia, nel giudizio per stabilire l’affidamento e il collocamento dei figli di una coppia di coniugi separati, il giudice non ha il potere d’imporre all’uno o all’altro coniuge di rinunciare ad un programmato trasferimento, che corrisponde a un diritto fondamentale costituzionalmente garantito.
Nessuna norma, inoltre, impone di privare il coniuge che intenda trasferirsi, per questo solo fatto, dell’affido o del collocamento dei figli presso di sé.
Di fronte alle scelte insindacabili sulla residenza compiute dei coniugi separati, i quali non perdono, per il solo fatto che intendono trasferire la propria residenza lontano da quella dell’altro coniuge, l’idoneità a essere collocatari dei figli minori, il giudice ha esclusivamente il dovere di valutare se sia più funzionale al preminente interesse dei figli il collocamento presso l’uno o l’altro dei genitori, anche se ciò incide negativamente sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario.
La Corte concorda con l’applicazione del criterio presuntivo della maternal preference.
Ma come detto, non si tratta affatto di un orientamento granitico in giurisprudenza. Da esso ha preso nettamente le distanze, tra l’altro, la sezione famiglia del Tribunale di Milano, con :
Il decreto del 19.10.16, Giudice dr.ssa Amato, Giudice relatore dr. Buffone
Secondo questa pronuncia deve ritenersi che né gli articoli 337 ter e seguenti del codice civile né la Carta costituzionale assegnino rilevanza o utilità giuridica al cosiddetto principio della maternal preference, dovendo invece affermarsi il principio di piena bigenitorialità e di parità genitoriale, potendo dunque essere sia il padre, sia la madre, in base al solo preminente interesse del minore, il genitore di prevalente collocamento, non potendo essere il solo genere a determinare una preferenza per l’uno o l’altro ramo genitoriale; normative del genere sono univocamente anche quelle da ultimo introdotte in Italia dal legislatore. Anche studi internazionali, osserva il Tribunale, affermano il principio della bigenitorialità e guardano con favore a normative incentrate sulla neutralità del genere: l’unica stella polare che il giudice deve seguire nel decidere il futuro del figlio deve restare l’interesse preminente del minore.
Al best interest del figlio sono improntate in modo univoco le disposizioni della Legge 219 del 2012 e del decreto legislativo 154 del 2013, che hanno riformato il diritto di famiglia sul punto.